“Niels, tu sei un grande amico. Stasera sono venuto da te, per chiederti un favore”. “Thomas, ci conosciamo da tanto tempo, non girarci attorno e dimmi quello che ti serve. Non mi piacciono i giri di parole”. “Verrò subito al punto:mi serve che tu prenda in consegna i miei atleti e li prepari per le olimpiadi”. “Ah,ah, ah, ah. Ma vuoi scherzare?”. “No, Niels , sono molto serio, tu sei sempre stato il migliore, il numero uno”. “Lasciamo perdere, sono troppo vecchio. Sono a riposo, ormai”. “Ma quale riposo. Dov’è finito il grande Niels Ek, la quercia. Tu hai allenato i migliori, sei stato, sei e sarai il più grande” “Della quercia è rimasta solo la traduzione del mio cognome a ricordarmela. Sono messo anche male, con una prostata grossa quanto la tua testa e un orecchio con un maledetto “motorino” per sentire le stronzate della gente e, in questo caso, le tue. Perché non chiami gli altri? Hai un fascicolo intero di nomi di allenatori, più giovani e più in gamba di me”. “Niels, se avessi voluto gli altri, lo avrei già fatto. I ragazzi non hanno bisogno di sentire teorie e filosofie di professoroni che non hanno mai toccato una pista, nemmeno con un dito del piede. Niel, in nome della nostra vecchia amicizia, ti chiedo di venire domani al centro sportivo a vedere gli allenamenti. Non sarai solo, avrai altri collaboratori che ti aiuteranno ed eseguiranno ogni cosa. Sono tutti eccitati per te, appena hanno saputo che venivo a parlarti, sono esplosi in urla di gioia e…”. “Va bene, basta, non andare oltre, non mi piacciono le sviolinate. Domani mattina verrò a dare un’occhiata. Adesso lasciami andare a letto, sono stanco e rimbecillito dalle tue chiacchiere”. “Ok Niels, grazie. Allora, a domani”. Thomas uscì di casa e lasciò andare a riposare il suo buon amico. Era entusiasta di averlo convinto ad andare agli allenamenti e, anche se non aveva ottenuto il “si” definitivo, sperava fortemente che, il giorno dopo, accettasse l’incarico. L’aria che si respira all’interno di una struttura sportiva è indescrivibile, particolare. Bisogna viverla, respirarla a pieni polmoni. Chi ha la passione per lo sport non può farne a meno, deve respirarla, non riesce a staccarsene mai completamente. Niels lo sapeva bene. Infatti, la mattina dopo, si presentò all’appuntamento. Vide alcuni ragazzi saltellare o correre sulla pista. Thomas osservava gli atleti a bordo pista e pensava se il suo amico sarebbe passato a salutarlo. “Ehi, Thomas”. “Niels, lo sapevo che saresti venuto, sono veramente contento”. Niels raggiunse a bordo pista l’amico. Thomas, subito, gli indicò i ragazzi migliori. “Dunque, abbiamo Bridger, Alden, Filip e Larse. Loro sono i migliori e con te diventeranno i numeri uno”. Niels osservava attentamente gli allenamenti dei ragazzi. La struttura fisica, lo slancio, la corsa, i movimenti, addirittura i loro sguardi. “Sai, sono tutti bravi ragazzi, si impegnano molto; ognuno di loro nei vari campionati, ai quali hanno partecipato, ha collezionato medaglie d’oro e records”. Intanto, dall’altra parte della pista, un uomo si allenava in solitudine. Niel osservò la sua concentrazione, il movimento ben sincronizzato, la coordinazione perfetta. “Chi è quello, Thomas?”. “Ah, quello è Souleyman, di origini italo-senegalesi”. “Fa parte della squadra?”. “No, lui si è ritirato, non ne vuole più sapere”. “Ma, se si allena, perché non sta in squadra?”. “All’improvviso ha ceduto. Ha vinto i campionati mondiali juniores, medaglia d’oro per i 200m. Ha fatto parte della squadra della staffetta 4×100, una volta argento e un’altra bronzo. Ha partecipato ad altre manifestazioni, poi, un maledetto giorno , ha iniziato a perdere, a non volerne più sapere. Ha smesso di allenarsi bene, viene qua ogni tanto e poi sparisce per qualche tempo”. “Ma cosa gli è accaduto? Lo hai chiesto?”. “Certo, Souleyman ha un fratello più piccolo. Dopo la morte dei genitori, ha iniziato a prendersi cura di lui, perché affetto da distrofia muscolare”. “E che lavoro fa Souleyman?” “Lavora in un supermercato come cassiere e scaffalista”. Ci fu silenzio per un po’ tra i due; questo fu interrotto da Thomas. “Bene, allora cosa ne pensi? Prenderai in mano la situazione? Questi ragazzi hanno bisogno di te, cosa mi dici?”. Niels aggrottò le sopracciglia e stette un momento a riflettere. Chinò il capo e pensò a tante cose: una squadra da allenare, un’età non più giovane e vigorosa, una vita dedicata allo sport. “Va bene, accetto, ma ad alcune condizioni”. Thomas sorrise ; per la gioia sembrava decollasse dal suolo. “Chiedimi quello che vuoi Niels, senza problemi; dimmi tutto”. “I ragazzi sono molto in gamba, ma vorrei in squadra anche lui”, indica Souleyman. “Lo sai che non è possibile: Niels, quel ragazzo non vuole più saperne; in più è fuori forma da tempo, ormai. Guarda questi ragazzi, sono bravi, perché cerchi di complicarti le cose?”. Niels fece finta di non aver sentito nulla delle parole del suo amico. “Ci vediamo domani mattina, pensa a farmi avere l’indirizzo di casa di quel ragazzo, al resto ci penso io”. “E come speri di convincerlo? Ma maledizione” (gettò con forza la cartelletta sulla quale prendeva appunti), “ sei un maledetto lo sai”. Niels, intanto, si avviava all’uscita del centro sportivo, rispondendo ad alta voce, di spalle all’amico: “lo so perfettamente, mi hanno fatto complimenti migliori. Ciao a domani”. Niels tornò a casa, guardò la foto della moglie defunta da qualche tempo, osservò i suoi trofei vinti negli anni, in varie competizioni sportive, poi si preparò da mangiare e si accese la televisione, non tanto per guardarla quanto per ricevere compagnia dalle voci che gli giungevano. Finito di mangiare, si sedette davanti alla TV sulla sua poltrona, con poggia piedi incorporato. Mentre stava per appisolarsi, squillò il telefono. Con un sobbalzo dato dallo spavento, causato dallo suono fastidioso, rispose. Credeva fosse Thomas con l’indirizzo del ragazzone, era solo sua figlia Loren, che sentiva di rado. “Papà, hai cenato? Che fai?”. “Ciao Loren, si, tutto bene. I piccoli come stanno?”. “Fanno casino”. “E Martin che fa, sta bene?”. “Si papà è tutto apposto, cerca di stare a casa , prendi le medicine che ti ho prescritte e fatti sentire più spesso. Perché non vieni a vivere qui, da noi?”. “Loren, te l’ho già detto, sto bene. Questa è casa mia; è qui che ho vissuto per anni con tua madre ed è qui che voglio rimanere”. “Papà, se vieni qui, potresti darmi una mano con i bambini, la casa è grande. Martin, lo sai, avrà piacere”. “Loren, ho da fare ; pensa che da domani riprenderò a lavorare al centro sportivo”. “Ma che stai dicendo? Papà non fare sciocchezze, sei in pensione, devi solo riposare. Comunque, appena posso, veniamo a trovarti”. “Senti Loren, devi stare tranquilla ; quando vuoi, passa pure”. I due si salutarono e ritornò il silenzio attorno all’anziano. I ricordi cominciarono a riaffiorare. Loren oggi è un grande medico, ma è stata anche una splendida bambina, una volta. Quanti bei momenti, ma il punto cardine di ogni cosa nella vita di Niels, la sua più grande vittoria e conquista era stata la bellissima Margaret, sua moglie, morta da poco tempo, per un male incurabile. Ora è solo, nonostante abbia una figlia. Il telefono si fece sentire nuovamente. Stavolta era Thomas, il quale diede il numero di telefono di Souleyman e l’indirizzo. Niels lo ringraziò e confermò l’appuntamento per il giorno dopo. La mattina seguente andò al centro sportivo e conobbe i ragazzi. Diede delle dritte sugli allenamenti prima di iniziare e, subito dopo le presentazioni, si iniziò con il riscaldamento, saltelli, giri di campo e qualche prova di velocità. “Niel, hai chiamato Souleyman?”. “Si, ma non mi ha risposto, il telefono risultava sempre occupato”. “Forse lo ha staccato, per far riposare il fratello”. “Si, può darsi; ho deciso che andrò direttamente a casa sua, appena finisco”. Dopo gli allenamenti, Niels si presentò alla porta di casa di Souleyman, il quale lo accolse. “Scusi il disordine. Allora, cosa vuole?”. Il giovane non era poco loquace, non amava troppi giri di parole e la testa non era concentrata al cento per cento a sentire i discorsi della gente. “Souleyman, chi è?”. Il fratello di Sauleyman dall’altra stanza aveva sentito delle voci e si era incuriosito. “E’ un mio amico Idrissa, non ti preoccupare”. Souleyman rimase in piedi davanti al tavolo, Niels si era accomodato su una sedia con un bicchiere in mano e il suo cappello nell’altra. “Perdonami se non ti ho avvisato prima di venire”. “Non si preoccupi, piuttosto mi dica”. “Bella casetta. Complimenti. Ecco, sono venuto a dirti che allenerò i ragazzi per le olimpiadi e ho chiesto a Thomas di avere anche te in squadra. Mi sono informato sul tuo conto e l’altro giorno ti ho visto mentre ti allenavi…”. “Niente da fare, mi dispiace, io non posso, ho chiuso. Lei sta perdendo solo tempo”. “Souleyman, dammi del tu. Io conosco i problemi che hai, soprattutto di tuo fratello, ma…”. “Mi dispiace, non posso proprio, sa molto sul mio conto, anzi sai. Come ti ho detto prima, stai solo perdendo tempo”. “La società penserà alle spese per te e tuo fratello; riceverai un trattamento speciale ; solitamente non si fa, ma per questa volta chiuderemo un occhio”. “Ah ah ah, un trattamento speciale per me, ma non mi conosci nemmeno e poi sono fuori allenamento da parecchio tempo. Strano che Thomas abbia pensato a una cosa del genere”. “Strano, ma vero. Tuo fratello avrà l’ assistenza ventiquattro ore al giorno, tu potrai allenarti tranquillamente e smettere di lavorare al supermercato. Penserà a tutto la società”. “Ecco, dovrei pensarci, io non lo so… Ma perché sei venuto proprio da me, io so benissimo chi sei, ne trovi cento migliori di me?”. “Figliolo, pensaci, ti lascio il mio numero di telefono, ma sarebbe meglio se domani mattina ti presentassi in campo”. Intanto Niels si alzò in piedi e si diresse verso la porta d’ingresso per tornare a casa. L’appartamento era piccolo, ma accogliente. C’erano due stanze, un piccolo soggiorno con angolo cottura e un bagno. Un manifesto era affisso dietro la porta, c’era un’immagine. “Pietro Mennea, la freccia del sud. Lo sai, tu mi ricordi un po’ Pietro, ti muovi come lui, hai il cuore come lui. Comunque ti lascio riposare”. Niels aprì la porta e andò via. Appena arrivò a casa chiamò Thomas per aggiornarlo sulla proposta che aveva fatto al ragazzo e sulle promesse. “Niels, sei impazzito? Non posso accollarmi due persone e mantenerle a nome della società” “Thomas, tu vuoi che io alleni i ragazzi, vero?”. “Certo”. “E allora o così o niente, è l’ultimo favore che ti chiedo”. “E va bene, Niels te l’ho già detto che sei un maledetto?”. I due si misero a ridere. Il giorno dopo , all’appuntamento si presentò Souleyman, la cui altezza e muscolatura erano superiori a quelle degli altri compagni. “Sapevo che saresti venuto figliolo”. Subito Thomas informò Souleyman che era tutto a posto, non doveva preoccuparsi di nulla. Iniziarono gli allenamenti. Niels, come anche gli altri, si accorse che Souleyman era fuori allenamento rispetto agli altri : restava indietro, si stancava immediatamente e, molto spesso, si fermava a prendere fiato. “Ragazzi, continuate ad allenarvi. Thomas, la piscina è pronta?”. “Certo che è pronta, che devi fare?”. “Souleyman, sai nuotare?”. “Si”. Non finì di dirlo che si ritrovò a nuotare in piscina. “Ma cosa c’entra questo con la corsa, Niels?”. “Vedi, Thomas, Souleyman ha i muscoli addormentati, devo fare in modo che si risvegli, che acquisti velocità ; in questa vasca muove dei muscoli che non sa nemmeno di avere”. Intanto Souleyman continuava a nuotare. “Gli altri ragazzi si alleneranno tutti i giorni, due volte al giorno. Lui invece tre, dovrà inserire il nuoto. Seguirò tutti e cinque, lui dovrà impegnarsi di più”. Passarono i giorni, e gli allenamenti erano sempre molto duri. Souleyman migliorava nei tempi, giorno per giorno. I cinque ragazzi seguivano fedelmente Niels;molti esercizi, che a loro sembravano estranei alla corsa, li eseguivano senza lamentarsi mai:la corsa, le sedute in sala pesi; molto presto venne aggiunto il nuoto. Niels si occupava di loro costantemente. Thomas osservava il suo amico e, attentamente, quello che faceva. “Niels, andiamo nel mio ufficio, ti devo parlare”. I due entrarono nella stanza e si sedettero a parlare. “Niels, sto osservando il tuo lavoro da molto tempo e non ho nulla da dirti;ti ho cercato io, so che sei il migliore, ma gli altri tecnici si lamentano e, anch’io, in questo momento, di un fatto. Non capisco perché alleni Souleyman separatamente dagli altri. Tranne che per alcuni esercizi, non lo fai mai gareggiare in competizione con gli altri ragazzi;corre sempre solo, lo abbiamo visto solo le prime volte arrivare ultimo con gli altri quattro e, poi, lo hai separato da loro”. “La risposta è semplice ,Thomas ; giustamente nè tu nè gli altri sapete dei risultati ottenuti ultimamente da Souleyman”. Niels si scorse verso Thomas, a trenta centimetri dalla faccia del suo amico. “Solo adesso è pronto per correre con gli altri”. Si fissarono negli occhi; Thomas non disse nulla, guardò l’amico attonito e, dopo un po’, si alzarono e tornarono dai ragazzi. Stavano finendo l’allenamento. “Li vedi come sono stanchi; Souleyman,vieni qua”. Riunì i ragazzi e ordinò di mettersi in posizione di gara. “Souleyman, va’ con loro.” “Gareggio pure io?”. “Ma perché, tu che sei venuto a fare; a guardare gli altri? Và, figliolo, mettiti in posizione. Thomas, dai il via”. Fu incredibile, 400m dopo, Souleyman si distaccò completamente dagli altri. Arrivò primo, sotto gli occhi stupefatti di tutti. A Thomas si spalancò la bocca, esterrefatto dall’accaduto. Gli altri tecnici rimasero stupiti, come anche gli altri atleti che avevano appena corso. Souleyman corse da Niels e Thomas sorridendo. “Bravo figliolo, ma adesso viene il difficile, gli altri si prepareranno per la staffetta; tu, invece, per i 100 e 200 metri. Non sarà una passeggiata, dovrai essere più veloce di tutti, un fulmine. Per diventarlo dovrai allenarti ancora più duramente”. Quella sera Souleyman tornò a casa e andò subito in camera dal fratello che stava a letto. Mandò a casa l’infermiera e si mise a raccontare della giornata a Idrissa. Idrissa aveva iniziato ad avere i primi sintomi della malattia all’età di tre anni. La distrofia muscolare di Duchenne lo aveva ormai portato in una situazione da non permettersi nemmeno più di muovere il collo. La cassa toracica comprimeva sempre di più i polmoni, portando ulteriori problemi respiratori. Souleyman raccontava al fratello tutto quello che faceva e che c’era fuori da quel letto. Per lui non si concedeva mai un’uscita con amici, ormai spariti, o con una ragazza. Soffriva anche a raccontargli quello che durante il giorno faceva o osservava, ma Idrissa lo voleva. Gli faceva piacere che il fratello maggiore lo tenesse informato dell’ambiente esterno, di quello che faceva. Dentro il cuore di Souleyman c’era molta rabbia per l’impotenza di fronte al male del fratello e altrettanta sofferenza nel vederlo sempre in quel letto o su una sedia a rotelle. Mentre Souleyman parlava con il fratello, squillò il telefono. “Ciao Soul, sono Karen”. Era una ragazza, ex collega di Souleyman, del supermercato. “Ciao Karen”. “Sei sparito senza dire nulla, eh? Che stai combinando?”. “Sono stato molto preso, sai sono ritornato agli allenamenti, parto per le olimpiadi”. “Fantastico, perché non ti fai vedere domani sera ? Potremmo andare a mangiarci una pizza insieme, così puoi raccontarmi meglio”. Souleyman guardò dal corridoio il fratello nel letto. “No, scusa, sai, sono molto impegnato… Gli allenamenti… Sono molto preso” “Ho capito campione. Appena puoi, fatti vivo, ok?”. “Sì, va bene, ciao”. Mise giù la cornetta del telefono. “Souleyman, che succede? Chi era?”. “No, niente, una mia amica”. “Ma perché non esci, io sto qui, mica vado via”. I due sorrisero. Souleyman aveva paura di impegnarsi con qualcuna, per via del fratello. Credeva che mai nessuna lo avrebbe accettato e, pertanto, nonostante fosse un bel ragazzo, cercava di non legare troppo i rapporti con nessuna. Una sera, appena ritornò dagli allenamenti, si era appena messo a preparare qualcosa da mangiare, quando suonarono al citofono. Andò a rispondere, ma non funzionava bene, quindi non sentì chi fosse. Dopo un po’ qualcuno bussò alla porta, aprì e si vide quasi arrivare sulla faccia due cartoni da pizza. “Allora, non ti fai sentire. Ho deciso che se Maometto non va alla montagna, la montagna andrà da Maometto”. Era Karen, aveva preso l’indirizzo dall’ufficio e aveva portato due pizze per cenare con Souleyman. “No, Karen… Sai…”. Mentre si parlava all’ingresso per spiegazioni varie, Karen si accorse di Idrissa. “Ma non mi avevi detto che vivevi con un’altra persona”. “E’ mio fratello Idrissa, ecco vedi…”. Souleyman era in forte imbarazzo per il fratello, pensava che a Idrissa avrebbe dato fastidio avere gente estranea in casa che lo vedesse nel letto. Karen si accorse dell’imbarazzo, ma era una brava ragazza. “Se avessi saputo avrei portato un’altra pizza”. Andò nella stanza a presentarsi al ragazzo. “Ciao, sono Idrissa, finalmente mio fratello fa venire una bella ragazza a casa”. La serata andò benissimo, alla fine Soul , come lo chiama Karen, accompagnò alla macchina la ragazza e, tra una parola ed un’altra,si ritrovarono a trenta centimetri l’uno dalle labbra dell’altra. “Soul, sai che cosa succede quando due persone si ritrovano a questa distanza? O sono parenti o sono amici e, a quel punto, non succede nulla. Ma, se sono un uomo e una donna finisce che…”. I giorni trascorrevano con gli allenamenti; a pochi mesi dalle olimpiadi tutto sembrava andare per il meglio. Souleyman aveva una ragazza, stava per partecipare alle olimpiadi e stava in piena forma fisica. “Souleyman, vieni qui un attimo”. “Dimmi Niels”. “Oggi ,figliolo, dovrai sostituire Filip per la corsa alla staffetta, la 4X100. E’ stato investito da una macchina ed è in ospedale con una gamba ingessata. Ne avrà per molto, quindi vai e allenati con gli altri alla staffetta, tu prenderai il testimone per ultimo, va bene?”. “Va bene Niels, non c’è problema”. Dopo gli allenamenti i ragazzi si stavano cambiando nello spogliatoio e stavano parlando delle giornate che avrebbero trascorso alle olimpiadi. Ad un tratto entrò un tecnico. “Souleyman, ho una brutta notizia per te, hanno ricoverato tuo fratello in ospedale…”. Souleyman corse subito via. Arrivato in ospedale, i medici lo misero al corrente della situazione in cui si trovava Idrissa. Purtroppo, c’era stato un peggioramento:una forte insufficienza respiratoria. Souleyman si avvicinò al letto del fratello e lo vide inerme con tanti tubi che lo circondavano. La maschera per l’ossigeno gli copriva il volto. Non aveva forza per parlare, rispondeva con il movimento degli occhi. Souleyman capiva che Idrissa cercava anche in quel caso di tranquillizzarlo. Souleyman uscì dalla stanza e, dopo pochi passi nel corridoio, si mise a piangere. Il giorno dopo Niels andò in ospedale e trovò il suo atleta abbastanza provato. “Figliolo, perché non vai un po’ a riposare”. “Non mi va, voglio stare qui, vicino a mio fratello”. “Io non ti dico nulla, però devi pensare anche alla gara, alla tua vita…”. Souleyman rimase in silenzio a guardare il fratello. “Figliolo, se tu rimani qui, ti aspetterò comunque e accetterò le tue decisioni”. Si presentò anche Karen e iniziò a fare tutti i giorni visita a entrambi i fratelli. Souleyman volle rimanere in ospedale. Non si smosse mai da lì, parlava al fratello di tutto, cercava di fargli trascorrere le giornate. In serata andarono i compagni di squadra. Un pomeriggio Karen stava leggendo una rivista nella stanza ospedaliera e Souleyman stava in dormiveglia seduto su una sedia. Il respiratore e il segnalatore dei battiti cardiaci emettevano umori e suoni continui. A un certo punto, i suoni del respiratore divennero segnali di morte. Souleyman gettò un urlo di dolore e abbracciò il fratello privo di vita. Anche Karen scoppiò in lacrime e, intanto, chiamò gli infermieri. Passarono molti giorni dopo i funerali. Souleyman era depresso, Karen gli stava vicino più che poteva. Niels andò a trovarlo. “Allora, figliolo, come va?” Il ragazzo non rispondeva, sembrava stonato come un pugile incalzato da pugni. “Perché non torni ad allenarti. Fra qualche settimana si parte per le olimpiadi. Tu pensi che ti abbiamo sostituito? Beh, ti sbagli, la squadra senza di te non parte?”. “Io non voglio venire; Niels, grazie di tutto, ma non me la sento. Fra qualche giorno torno al supermercato”. “Ma tu sei nato per correre figliolo, devi venire per forza. Ricominciamo gli allenamenti, sei ancora in tempo”. Souleyman non dava risposte, Karen stava in silenzio e si guardava con Niels, il quale era molto preoccupato. Karen accompagnò Niels alla porta ; tornò da Souleyman, lo fissò e, dopo un po’, sbattè i pugni sul tavolo, il ragazzo sobbalzò dalla sedia. “Possiamo parlare? Ti posso chiedere una cosa? Perché stai così?”. “Non ne voglio più sapere”. “Se hai preso questa decisione, io sono con te;non ti sei mai arreso da quando ti conosco”. “Insomma, Karen, ho perso mio fratello, non ho più una famiglia; lui era tutto per me. Non ha mai potuto correre, vedere tante cose, ha solo sofferto finendo in un letto e morendo così, senza nemmeno una sua soddisfazione personale, di qualsiasi tipo”. “Questo lo credi tu. Idrissa non ha mai detto nulla, non si è mai lamentato del suo stato” “ Io non voglio. Non mi interessa correre. Per quale motivo dovrei farlo? Non ho fiducia in me stesso e, quando un atleta non ha fiducia in se stesso, è finito” “Non è finito niente, niente è finito. Tu sei un campione, correre è la tua vita. Tuo fratello non avrebbe voluto vederti ridotto così, in depressione.” Intanto, lo strattonava dalla maglia. “Avrebbe voluto vederti correre e vincere, lo devi fare per te e solo per te, non per me o per altri.” “E se perdo?” “Non importa, almeno ci avrai provato e non avrai rimpianti. Un atleta, se partecipa ad una gara, va per vincere, non solo per partecipare; ma se perde lo fa con onore, e tu devi andare. Poi, i toni si calmarono. “Dove hai trovato questa forza?” “Sono la fidanzata di un grande atleta” La mattina dopo Niels si vide arrivare agli allenamenti il suo “figliolo”. Tutti lo accolsero con entusiasmo. “Allora, Souleyman, inizia a riscaldarti; da oggi saranno giornate molto intense” Souleyman si allenò con il massimo impegno e costanza. Raggiunse risultati notevoli. La sera prima della competizione, tutti gli atleti alloggiavano nelle proprie stanze. Souleyman si sentì telefonicamente con Karen che gli diede coraggio per il giorno dopo e gli assicurò che tra il pubblico ci sarebbe stata anche lei. Dopo un po’, Niels passò a salutare i suoi allievi e, per ultimo, lasciò il suo pupillo. “Souleyman, posso entrare?”. “Sì vieni Niels, entra pure”. “Domani è il grande giorno. Gli altri sono un po’ preoccupati, ma contenti. Ragazzo, ti volevo dire una cosa. Se tu non fossi qui oggi, non ci sarei nemmeno io. Il fatto che tu sia qui a fare quello che fai, mi dà, come dire, una motivazione per continuare a vivere. A poco a poco, perdiamo tutti quelli che ci circondano, e ti viene da pensare che non c’è ragione di andare avanti, ma con te figliolo ho ragione di andare avanti. Starò sempre al tuo fianco, anche quando non ci sarò più fisicamente. Il giorno in cui non ci sarò più,sarò sicuro che, oltre a saper correre, ti avrò insegnato a prenderti cura di te stesso. Quando correrai e quando avrai problemi nella tua vita e penserai di non farcela, pensa che al tuo orecchio ci sarò io a sussurrarti :”Reagisci figliolo, non mollare”. “Grazie Niels, ti voglio bene” e si abbracciarono. “Sì, va bene, te ne voglio anch’io, adesso riposa figliolo e domani vai a vincere”. Souleyman partecipò ai 100 e 200 metri e, alla fine, alla staffetta la 4 X 100. Vinse l’oro in tutte, stabilendo nuovi record. Alla fine della staffetta, i compagni impugnarono delle bandiere, con su scritto “ Idrissa vive” e percorsero tutta la pista. Intanto Souleyman si commosse ; lo intervistarono. “Io voglio dire solo grazie. Grazie a mio fratello che oggi non è più qui fisicamente, ma spiritualmente mi ha dato tanta forza e sostegno. Grazie a Niels, il mio allenatore, per aver creduto sempre in me, sin dal primo momento. Se credete in qualcosa credeteci fino in fondo. Grazie a quella donna magnifica alla quale chiedo, qui in diretta, di sposarmi.” Karen, ti amo” gridò a squarciagola. E, poi, salutò tutti.